Se mi si chiede:
”Perché dipingi?”
confesso che lì per lì mi sentirei imbarazzato.
Più semplice se penso un po’, e direi che quando
posso dipingere sono felice, anche se soffro con
me stesso.
Potrei spiegarmi meglio ricordando il travaglio e la
gioia della madre.
Vorrei dire che se non potessi dipingere con le mani,
dovrei farlo spiritualmente con gli occhi e con il pensiero.
Se mi si chiede ancora perché ho dipinto il tal quadro e il
tal soggetto, risponderei che il soggetto non mi interessa
per quello che rappresenta, ma per quello che mi serve, e
cioè per costruire la mia composizione architettonica,
o con più spirito una minuscola galassia umana.
Queste cose la mia immaginazione me le ricorda, ed i
personaggi, gli animali, i luoghi, li vedo alla rinfusa come in un
limbo muto, da cui attingo e scelgo come dalla cassetta i tubetti
dei colori.
Di essi (personaggi, ecc.) mi servo come di elementi
singoli per formare un’immaginaria palla atmosferica.
Fatterelli e cronache ristrette ai confini del
paese, inosservate dai più, ma che mi fanno
ri-immagginare e non ricostruire le scene e i fatti di
questa gente, con quei piedi e quelle mani che ho
conosciuto, con i visi contratti e le spalle compresse
dalle ingiustizie, dalle indifferenze patite come
crocifissioni attuali ambientate lì a due passi dalla casa,
dietro all’orto o nel frutteto.

"Il mio cuore: la tavolozza"
olio su legno, cm 65x42 - 1994

da:
Catalogo della mostra collettiva
"10+10 pittori ed incisori trentini del XX secolo"
Roma, giugno-luglio 1971
Trento settembre-ottobre 1971



 

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